Hotel del Nord America, Rick Moody


Dove si manifesta la letteratura al tempo di Internet? Quante parole si disperdono per frammenti, come plancton di un nuovo mare magnum? E soprattutto: cosa diventerebbe questo materiale qualora lo si raccogliesse in un libro, fosse anche digitale? Domande forse non particolarmente originali, ma nessuna vera domanda lo è. Che piaccia o no, su questo terreno si gioca una partita essenziale e per nulla scontata, la partita giocata da Rick Moody nel suo nuovo romanzo e dalla quale è uscito decisamente vincitore. Con Diviners, e in parte anche con il più recente Le quattro dita della morte, lo scrittore non aveva detto il meglio di sé. Sembrava avere imboccato una lunga e involuta fase di stanca, distante dagli splendori di quanto aveva prodotto in gioventù, negli anni novanta: romanzi come Rosso americano e Tempesta di ghiaccio, per non parlare di certi racconti al limite della perfezione contenuti in Demonology e La più lucente corona d’angeli in cielo. Dopo un decennio e più ecco spuntare un’altra perla, Hotel del Nord America (Bompiani, traduzione di Lucia Vighi, pp. 215, euro 18,00). E quasi per caso, stando almeno alle dichiarazioni dell’autore.
Racconta Moody che era da tempo alle prese con «un romanzo più convenzionale» quando ha cominciato a dubitare della possibilità di potere dire qualcosa di nuovo con quel libro. Nel mezzo di quell’incertezza, gli è capitato di soggiornare in un piccolo albergo di Bergen, sulla costa norvegese. L’albergo era a tal punto pessimo che la moglie l’ha indotto a scrivere una recensione, perché Internet è anche questo: un luogo dove chiunque, in qualunque momento e per qualunque ragione, può esprimere e pubblicare la propria opinione su tutto e non soltanto tramite blog o social. Com’è noto, esistono infatti luoghi appositi, collettori di commenti specializzati, siti dove si magnificano o stroncano libri, musica, film, prodotti commerciali, ristoranti e ovviamente anche alberghi. Si è ormai affermata l’abitudine di dare a questi contributi l’appellativo di recensione. Una definizione generosa se non impropria, visto che nella gran parte dei casi si tratta di meri sfoghi.
Nel vecchio mondo, la recensione non era per tutti. Veniva praticata come lavoro in maniera selettiva da poche persone, competenti nel settore o almeno presunti tali. Non che la cosa fosse garanzia di obiettività. Sulle pagine di giornali e riviste, capitava spesso che si regolassero conti e restituissero favori. Ero però un mestiere. Chi recensiva in malafede, senza documentarsi o sulla scorta di un interesse puramente personale, lo faceva a suo rischio e pericolo, almeno in teoria. Il rencensore di internet scrive invece nell’impunità più assoluta, spesso nascosto da identità di comodo e senza alcuna formazione specifica. A fare la differenza non è però la sua ignoranza, il fatto che scriva per risentimento, sull’onda di un impulso bilioso, bensì che giochi una partita scorretta dove lui non ha nulla da perdere, mentre il recensito mette la sua reputazione nelle mani di un incompentente che il più delle volta nemmeno conosce. A quanto pare, Moody scrisse la recensione come fanno in tanti, ma al momento di cliccare «invia» optò per quel che la gran parte dei commentatori di internet non fa: desistere.
Invece di apparire su TripAdvisor, le sue parole al vetriolo sul pessimo albergo di Bergen hanno soppiantato il romanzo più convenzionale al quale lo scrittore attendeva dal 2009, diventando il primo mattone di Hotel del Nord America. È altamente probabile che, quando parla di romanzo convenzionale, Moody intenda quel genere di racconto in cui il succedersi dei fatti viene ordinato in una trama più o meno lineare per poi essere offerto al lettore da una voce narrante. Se questo è il senso, Hotel del Nord America non è di certo un romanzo convenzionale. Non è però un romanzo senza tradizione.
La struttura rievoca addirittura le origini, ricalcando non senza ironia, e forse anche con un pizzico di nostalgia, l’espediente delle carte ritrovate in bauli immaginari, proprio dei romanzi epistolari che andavano per la maggiore nel Settecento. È tuttavia un romanzo epistolare atipico e pertanto un ascendente più immediato può essere forse Herzog di Saul Bellow, il cui protagonista si autoritrae nella sua crisi di intellettuale mezza età integrando il racconto con lettere mai spedite e rivolte a varie persone, incluse alcune a lui sconosciute.
Reginal Edward Morse ha più di un tratto in comune con Moses E. Herzog. Non lo si può definire un intellettuale, ma è pure lui un uomo maturo col suo fardello di fallimenti e scoramenti. Ha alle spalle un passato poco felice come broker e un altro altrettanto sfortunato come oratore motivazionale.
Come molti occidentali di una certa età, Reginald deve fare i conti anche con un divorzio e il conseguente distacco da una figlia che vede di rado. Al momento la sua principale occupazione è quella di spostarsi di albergo in albergo, di motel in motel, per recensire la sua esperienza di ospite in un sito il cui nome dice tutto, ValutaIlTuoSoggiorno.com. In breve tempo, Reginald diventa il recensore preferito dai visitatori del sito, probabilmente perché ha una voce, perché spesso gli alberghi non sono che un pretesto per dare sfogo a quel che ha dentro, per divagare sulla natura della cose e rivangare il proprio passato. Di stanza in stanza, con una frammentarietà che è stretta parente delle brevi soste, delle notti solitarie trascorse in un luogo anonimo e asettico ma comunque intriso del passaggio di tante persone, più che recensire Reginald racconta se stesso, la sua triste caduta di maschio di mezza età nell’America del dopo 2008.
Al tracollo economico si aggiungono gli affetti perduti, un senso di generale scoramento nonché un declino sessuale che induce Reginald a scorgere qualcosa di commovente nelle pubblicità del Cialis. L’autoritratto si compone di trentasette stanze o recensioni. È di fatto un diario mancato, un po’ come le lettere di Herzog sono una corrispondenza mancanta. Ed è un diario pieno di una solitudine senza rimedio, il cui dolore viene reso ancor più lancinante proprio dal fatto che i testi si immaginano sottratti, come messaggi in un bottiglia, a quell’infinito abisso di velleitaria e invelenita vacuità che è spesso Internet.
Diversamente dai romanzi precendenti, Hotel del Nord America è un libro breve e la sua natura frantumata consente a Moody di mantenere costante un tono da improvvisazione rapsodica, a lui particolarmente congeniale. Più perplessità suscita la scelta di avere incorniciato i contributi di Reginald con una prefazione e una postfazione di fantasia. Nella prima, il presidente di una fantomatica Associazione nordamericana albergatori spiega di avere ideato «una collana di volumi in cui raccogliere le più svariate recensioni online di strutture ricettive: le spietate, le elogiative, le stravaganti, le allegre e le malinconiche».
Reginal è stato dedicato un volume a parte che gli ospiti degli alberghi potranno trovare in camera, magari sul comodino accanto alla Bibbia. E fin qui ci si può anche stare: un omaggio al vecchio e abusato stratagemma di spiegare come certi scritti diventino un libro. Quel che più stona è la postfazione firmata dallo stesso Moody, che immagina di commentare l’opera di Reginald Edward Morse dietro scarso compenso e per conto di un gruppo editoriale del sito ValutaIlTuoSoggiorno.
Quando Moody scrive che queste recensioni sono un segno dei tempi, non soltanto rimarca un’ovvietà che qualunque lettore è in grado di cogliere da sé, ma toglie al romanzo parte della sua novità, ricacciandolo nel passato, quasi che internet fosse un accidente momentaneo, al pari di una notte passata in albergo, e non un rivolgimento epocale. Un peccato veniale ma pur sempre un peccato, una piccola macchia di un libro per il resto molto riuscito e toccante.
[Tommaso Pincio 11/09/2016]

Nessun commento: