Memoriali sul caso Schumann, Filippo Tuena, Il Saggiatore

La struttura del libro per me È il libro. È l’elemento fondante dal quale parto. Stabilita quella – in questo caso – 6 monologhi (in principio erano 5, quello di Ludwig l’ho aggiunto per ultimo) dove si alternavano diari, epistolari, memoriali, monologhi, scritture automatiche. Ho rinunciato quasi del tutto ai dialoghi (non riuscivo a renderli credibili) e alle descrizioni (salvo Endenich che è luogo misterioso ai più e dunque quelli che lo visitavano, certamente lo descrivevano) perché volevo che il lettore sapesse meno delle voci narranti. E che le voci narranti ignorassero il lettore.
Di qui anche la scelta di eliminare – salvo nella Postilla – il ruolo del narratore che ha sempre svolto un’importante funzione nei miei libri precedenti. Un unico narratore presupponeva una conoscenza completa delle vicende e io invece volevo che si mantenesse il più possibile il dato frammentario e incompleto. Per questo motivo non è stata chiamata a testimoniare Clara, che certamente avrebbe potuto fornire molte informazioni ma che nella realtà e anche in questa ‘fiction’ ha sempre mantenuto un riserbo rigidissimo.
Due parole anche sulla musica e sulle variazioni. Considero la forma delle variazioni la punta più alta della letteratura musicale ottocentesca e anche la più vicina alla narrativa. Che cos’è la narrazione se non la variazione di un evento preesistente che nelle mani del narratore assume una forma specifica e riconoscibile come originale di quel narratore? Stabilito questo assioma ne cade che la realtà così come possiamo trasmetterla non è che una variazione dell’evento occorso. Il tema mi affascina, ma qui si può solo accennare. Ne riparliamo.

Da Memoriali sul caso Schumann, Filippo Tuena, Il Saggiatore) – pag. 84-86
5 dicembre. Giorno di Natale. È arrivato una specie di regalo, se lo si può definire tale. Finalmente la natura delle accuse delle voci che turbano Schumann s’è chiarita. Gli attribuiscono un crimine orrendo: gli rimproverano di non essere l’autore delle sue musiche. Replica gridando: «È una menzogna!», ma ne è ossessionato. Queste figure appaiono nelle ore e nei luoghi più impensati e sembra lo minaccino di rendere pubblica la truffa che, a loro dire, ha perpetrato nei confronti di altri musicisti. Mi sembra che stia di nuovo precipitando nell’abisso.
8 gennaio. Clara ci ha informato in termini entusiastici della lettera a Brahms del 15 dicembre – l’ultima di cui ho parlato.
In contrasto coi miei sentimenti riguardo a quel foglio, si è espressa così: «Splendida lettera da Robert, in gran parte dedicata alle quattro affascinanti ballate di Brahms. Scrive straordinariamente bene, nei suoi giorni di ottima salute non ha mai scritto meglio. Si direbbe che stia piuttosto bene».
Così, sull’onda di questo per me inspiegabile ottimismo, è stato chiesto ai dottori se fosse possibile un’altra visita di Brahms e magari, con l’occasione, se poteva fare un po’ di musica, visto che al Maestro la cosa interessava molto. Devono aver avuto il permesso perché dopodomani Brahms andrà a trovarlo.
Porterà con sé lo spartito delle ballate e magari, suonerà per Schumann. Io non suonerei quel brano a Endenich.
10 gennaio. Domani Brahms va a trovarlo.
12 gennaio. È andato a Endenich. È stata una visita molto breve, perché è tornato la sera.
Cercherò di vedere il ragazzo da solo a sola e farmi raccontare quel che è accaduto veramente.
Dunque, ecco la situazione, come la racconta Brahms. È rimasto con lui per quattro ore. Ha suonato l’ouverture Cesare e ha duettato con lui. Ovviamente non è stato un vero duetto. Schumann non è in grado di suonare compiutamente alcunché. Si è seduto accanto a Brahms e di tanto in tanto ha articolato qualche accordo, qualche arpeggio, poche cose. Però ha seguito con attenzione la musica. Quando Brahms ha fatto per andarsene, Schumann non voleva separarsi da lui. Lo ha accompagnato a Bonn, gli ha mostrato il monumento di Beethoven, e lo ha lasciato soltanto quando Brahms è dovuto correre alla stazione per non perdere il treno. Questo quanto è accaduto. Quel che Brahms ha saputo da Peters è altro.
A gran fatica ha smesso d’interessarsi al domino, ma la passione dei numeri – evidentemente suscitata da quel gioco – adesso si è ri- volta verso altri passatempi. Scrive per ore e ore sequenze di numeri, fa conti astrusi, classifica ogni cosa. Penso si tratti di una sostituzio- ne della musica – delle simmetrie matematiche della musica – che non riesce più a comporre o a suonare. Vi si applica con grandissima cura. Tutto ciò però lo allontana dalla vita quotidiana. Si sta ritirando sempre più in un suo mondo ed è sempre meno disponibile ad aprirsi all’esterno. Tuttavia il dottor Richarz lo ha sentito pronunciare molto distintamente – senza possibilità d’essere frainteso – alcune frasi circa il desiderio d’essere trasferito in un altro istituto dove può essere «curato dalla pazzia». Raccontavo alla signorina di questa richiesta di Schumann e lei mi ha interrotto. «Non è pazzo, se chiede questo» ha affermato. E forse è talmente coerente da rendersi conto che a Endenich non può essere curato come si dovrebbe. Non so cosa pensare.
Del resto il 4 del corrente mese ha voluto mostrare ai dottori lo spartito di una sua composizione per dimostrare che è stata scritta per «pianoforte a quattro mani», mentre loro – le voci – continuano a ripetergli che è scritta per «due mani».
Lo stesso Brahms mi ha riferito che Schumann gli ha raccontato delle voci. E che, tuttavia, confonde le allucinazioni auditive con le prescrizioni dei dottori. Confonde fantasmi e medici.
Dunque è facile ritenere che non si fidi dei medici. Chi mai, del resto, potrebbe fidarsi di allucinazioni?
La verità in conclusione è che Brahms ha trovato Schumann molto peggiorato e ovviamente ha taciuto a Clara la gravità della situazione.

La scheda del libro
Il 27 febbraio 1854, in piena crisi artistica ed esistenziale, Robert Schumann esce dalla propria abitazione di Düsseldorf e si butta nelle fredde, nere acque del Reno. Salvo per miracolo, viene affidato alle cure del dottor Richarz e internato nel manicomio di Endenich, dove rimarrà fino alla morte, perseguitato da voci incorporee che lo accusano di non essere l’autore della sua musica e solo occasionalmente visitato da allievi e protetti, fra cui il prodigioso Johannes Brahms. Non rivedrà mai più l’amata moglie Clara e i figli.
Intorno a questa follia – e alle enigmatiche “Variazioni del fantasma”, che Schumann sosteneva gli fossero state dettate dallo spettro di Franz Schubert – Filippo Tuena costruisce un romanzo a incastro dalla presa magnetica, un congegno narrativo che dissimula la finzione come un raffinato trompe l’oeil ottocentesco e sfrutta sei punti di vista diversi – da un’anziana amica di Robert e Clara a Ludwig Schumann, affetto dallo stesso male del padre – per sondare il mistero che ancora circonda gli ultimi anni di Schumann e i suoi rapporti con la moglie e con Brahms, l’allievo dal volto angelico arrivato nella vita della coppia sei mesi prima del tentato suicidio e destinato a giocare un ruolo centrale non solo nella vita del Maestro, ma anche nella storia della musica.
Abilissimo come sempre nel mescolare verità storica e rielaborazione immaginifica, Filippo Tuena utilizza lettere, stralci di diari, partiture per raccontare una storia di arte e pazzia che ha i toni foschi di un romanzo gotico, e che attraverso la vicenda emblematica di Schumann esplora i rapporti della civiltà europea con la morte e l’aldilà, con la religione e la scienza, e da ultimo con la musica, «corpo spirituale del mondo», suo pensiero in scorrimento . Il risultato è un romanzo che si legge con la voracità di “Dracula” o “L’abbazia di Northanger”, una storia di fantasmi la cui scoperta più spaventosa è l’impossibilità di capire fino in fondo l’altro.
 

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