Il 27 febbraio 1854, in piena crisi artistica ed esistenziale, Robert
Schumann esce dalla propria abitazione di Düsseldorf e si butta nelle
fredde, nere acque del Reno. Salvo per miracolo, viene affidato alle
cure del dottor Richarz e internato nel manicomio di Endenich, dove
rimarrà fino alla morte, perseguitato da voci incorporee che lo accusano
di non essere l’autore della sua musica e solo occasionalmente visitato
da allievi e protetti, fra cui il prodigioso Johannes Brahms. Non
rivedrà mai più l’amata moglie Clara e i figli.
Intorno a questa follia – e alle enigmatiche Variazioni del fantasma,
che Schumann sosteneva gli fossero state dettate dallo spettro di Franz
Schubert – Filippo Tuena costruisce un romanzo a incastro dalla presa
magnetica, un congegno narrativo che dissimula la finzione come un
raffinato trompe l’oeil ottocentesco e sfrutta sei punti di
vista diversi – da un’anziana amica di Robert e Clara a Ludwig Schumann,
affetto dallo stesso male del padre – per sondare il mistero che ancora
circonda gli ultimi anni di Schumann e i suoi rapporti con la moglie e
con Brahms, l’allievo dal volto angelico arrivato nella vita della
coppia sei mesi prima del tentato suicidio e destinato a giocare un
ruolo centrale non solo nella vita del Maestro, ma anche nella storia
della musica.
Abilissimo come sempre nel mescolare verità storica e rielaborazione
immaginifica, Filippo Tuena utilizza lettere, stralci di diari,
partiture per raccontare una storia di arte e pazzia che ha i toni
foschi di un romanzo gotico, e che attraverso la vicenda emblematica di
Schumann esplora i rapporti della civiltà europea con la morte e
l’aldilà, con la religione e la scienza, e da ultimo con la musica,
«corpo spirituale del mondo», suo pensiero in scorrimento . Il risultato
è un romanzo che si legge con la voracità di Dracula o L’abbazia di Northanger, una storia di fantasmi la cui scoperta
più spaventosa è l’impossibilità di capire fino in fondo l’altro.
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