80 anni dalla morte di Federico Garcia Lorca

Gli archeologi sono certi di essere vicini, molto vicini alle ossa di Federico García Lorca. Forse a venti metri dal punto dove già si è scavato, senza però trovarne traccia, tra i Comuni di Viznar e Alfacar, vicino a Granada. Un movimento del terreno, di cui non era stato tenuto conto, avrebbe indotto l’errore fatale. Ma i fondi pubblici per continuare le indagini sono praticamente esauriti e Javier Navarro, capo dell’équipe multidisciplinare che non si rassegna a lasciare l’autore di Romancero gitano e Nozze di sangue tra i desaparecidos della Guerra civile spagnola, aspetta il via libera della Giunta dell’Andalusia, oltre a un finanziamento relativamente modesto di 17 mila euro. Quanto manca a intraprendere quest’autunno il nuovo sforzo, che potrebbe comunque non essere l’ultimo.
Un nuovo impulso arriva dalla magistratura: il giudice argentino Maria Romilda Servini ha accolto l’istanza dell’Associazione per il Recupero della Memoria Storica (che in Spagna si adopera perché siano riaperte tutte le fosse comuni ancora intatte dai tempi della guerra e della successiva repressione) affinché la morte di García Lorca rientri fra i crimini contro l’umanità. Emilio Silva, presidente dell’associazione, è riuscito a consultare un documento del comando superiore della Polizia di Granada datato 9 luglio 1965 (dieci anni prima della fine della dittatura di Francisco Franco), in cui sarebbero ricostruite «in maniera affidabile» le circostanze dell’arresto e dell’omicidio di García Lorca. Per la prima volta viene dunque alla luce la versione ufficiale del regime sulla morte del poeta, definito «socialista e massone» e a cui vengono attribuite, testualmente, «pratiche di omosessualità, aberrazione che è arrivata ad essere vox populi». Più o meno le motivazioni della sua condanna a morte. Il magistrato argentino, specializzato in inchieste sulle violazioni dei diritti umani nella Spagna franchista, ha deciso dunque di occuparsi del caso. Finora circondato da molti dubbi e interrogativi.
A cominciare dalla data esatta della morte, che è ancora, e resterà quasi certamente approssimativa: ieri, oggi o domani, comunque in queste ore, 80 anni fa, Garcia Lorca veniva fucilato dopo essere stato arrestato e, non si esclude, torturato dai falangisti. Il momento ufficiale della sua morte è stato fissato all’alba del 19 agosto del 1936, il luogo dove giacciono i suoi resti rimane un mistero da quel giorno, nonostante anni di scavi, ricerche, consulenze di testimoni oculari, ormai tutti scomparsi. È incerta anche la dinamica di un delitto maturato nel clima di sospetto, vendette, odio dell’inizio della guerra civile in Spagna. Mentre sembra quasi sicuro che García Lorca fu sepolto in una fossa comune in compagnia di un maestro di scuola e due toreri anarchici, eliminati con lui, a Viznar, dalle parti di Granada. O almeno così riferì all’inizio degli anni Settanta Manuel Castilla, sedicenne, all’epoca, costretto dagli assassini a scavare la tomba, forse solo provvisoria, del già famoso scrittore trentottenne e dei suoi sventurati compagni di prigionia. Anche se, nel dossier fornito agli inquirenti argentini, il rapporto ufficiale parla di una sola altra persona «passata per le armi» assieme allo scrittore.
Ma nel luogo indicato da Castilla al più importante biografo di García Lorca, l’ispanista di origini irlandesi Ian Gibson, non fu trovato nulla. Un altro testimone, Antonio García, avrebbe raccontato ai compaesani di aver saputo da un conoscente che il corpo del poeta era stato disseppellito poco dopo la morte e sotterrato a un centinaio di metri di distanza, per evitarne o ritardarne il ritrovamento. In ogni caso ogni ricerca è stata interrotta un paio d’anni fa dal governo andaluso che aveva già investito 70 mila euro nelle ispezioni e non sembra disposto a erogarne uno di più. Storici e archeologi, possono tantomeno sperare nell’aiuto della famiglia che, fin dall’inizio, si oppone all’eventuale esumazione dei resti del poeta. Le ricerche infatti sono state avviate, formalmente, per ritrovare i resti del maestro elementare Dioscoro Galindo Gonzalez, e del «banderillero» anarchico Francisco Galadì, i cui discendenti invece vorrebbero dare loro degne sepolture.
Per la nipote Laura García Lorca de los Rios, che amministra la Fondazione intitolata allo zio, tutto questo accanimento non ha senso: la tomba di García Lorca, per la famiglia, è là dove è stata piantata una lapide in sua memoria, a Fuente Grande di Alfacar, vicino all’ulivo che sarebbe stato testimone della sua fine. La resistenza della famiglia ha dato adito a voci e pettegolezzi di ogni genere, come l’insinuazione che i famigliari avessero recuperato molti anni fa i resti di Federico, seppellendoli all’interno della loro proprietà di campagna, La Huerta de San Vicente.
Per Ian Gibson, il biografo nato a Dublino tre anni dopo la tragica fine di García Lorca, scoprire esattamente che cosa avvenne è diventato lo scopo di una vita: «Nessuno vuole strapparlo dalla sua tomba. Se la famiglia non lo desidera, sembra inopportuno anche a me — ha dichiarato —. Però è importante sapere come morì e se fu torturato». La verità può essere a venti metri. O irraggiungibile.
[ELISABETTA ROSASPINA, inviata a Parigi]

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