martedì 23 agosto 2016

Le tante vite dell’Asinara

Sbarchi all’Asinara e finisci, pare, nella Isla Nublar disegnata da Spielberg e Crichton. E se non ci trovi il Giurassico, ti senti però avvolto dal tepore di un mondo in bianco e nero altrettanto distante. Torna a far male, lungo il molo di un’isola al quadrato, quanto sacrificato sugli altari del boom economico. Ciò che abbiamo perso vuoi perciò respirarlo con rispetto, tra folate di sale, in un’aria satura degli echi dei brigatisti e dei povericristi che vi furono rinchiusi. Insieme ai Riina che l’hanno rovinato, si costrinsero all’Asinara drappelli di figli vittime di questo mondo. Non erano gigli, certamente, piuttosto somigliavano a centaurea horrida. Un arbusto che con le spine si difende da tutto. Anche da asini albini obbligati a nascondere la testa nel mirto per non bruciarsi, come ci fa notare Pierpaolo Congiatu, il direttore del Parco. Sulla terra le lucciole scomparvero alla fine degli anni Sessanta. Nel mare, si persero i tonni.
20storie_sardegna agostinodiana
«Nel 1970 il Cagliari vinse uno storico campionato. In cambio arrivarono le industrie, che tra l’altro modificarono le correnti sfruttate dai tonni, che vanno diritti seguendo acque pulite e silenziose», dice Congiatu.
La raffineria Sardoil fu inaugurata nel 1968, a Porto Torres, dalla Sir in combutta con la Saras di Angelo Moratti, il presidente dell’Inter: i due gruppi industriali nel 1967 ottennero la maggioranza delle azioni dell’U. S. Cagliari. Ai sardi lo scudetto, ai milanesi il petrolio.
Difficile pensarci sotto il sole antico di Trabuccato. Serve invece sforzarsi meno per capire come in questo braccio di mare a nord-est della Rada della Reale, nel 1851, fosse ammodernata una tonnara da pescatori venuti da Ponza e Camogli, e come la tradizione della mattanza fosse stata importata nell’isola già nel Trecento dai saraceni. «Queste travi dovevano sostenere i ganci che servivano per appendere i tonni», spiega Congiatu. «Immagino quanti ce ne fossero nel Trecento, se ancora è possibile incrociarli per caso».
Su YouTube circola infatti un video del 2012 in cui una barca turistica, nelle acque del Golfo, all’improvviso si ritrova addosso grossi esemplari. Una delle prove che stanno di nuovo proliferando, da quando la pesca è sottoposta a quote.
20storie_sardegna apertura
Non solo tonni, però. E non per la buona novella di un minore inquinamento. «Alle sei di mattina di marzo, quando il cielo si confonde col mare, capita di vedere tre punte emergere dal mare», dice il direttore. «Sono gli squali elefante, scortati da pesci pilota bianchi e neri. Puoi perfino toccargli la pinna piena di incrostazioni». Di solito si avvistano nell’Atlantico. Il problema è che le temperature del Mediterraneo stanno salendo.
Nell’agosto del 1885 l’Asinara fu destinata a lazzaretto e a colonia penale. A quarantacinque delle famiglie esiliate, allora, non restò che fondare Stintino: Isthintinu, il budello tra due insenature.
A 2 chilometri dal villaggio, e 14 miglia marine da Trabuccato, si afferra il perché della nuova topografia. Continuare la tradizione, perché altro non si sapeva fare, presso la Tonnara Saline: un sistema di cattura quasi naturale nell’isthintinu.
Nel borgo, di fronte al vecchio porto, il 18 giugno ha aperto il Mut. È il Museo della Tonnara che, forte del recente riallestimento, colleziona frammenti per stimolare locali e visitatori a ordinare e strutturare la memoria del luogo. «I tonnarotti intrattenevano con il tonno un rapporto di amore-odio, vissuto tra il fascino esercitato dalla forza elegante dei pesci e la necessità di una cattura che significava sussistenza», spiega il direttore Salvatore Rubino, che ci mette in contatto con Agostino Diana, ultimo rais di Stintino tra 1970 e 1972.
Quando lo incontriamo dà l’impressione che si stancherà presto e che non parlerà tanto. Non sarà così. Agostino dà sempre del lei. «Guardi il mare, domani arriverà il maestrale», garantisce. E avrà ragione.
Del resto fu per tre anni maestro di cerimonie sul bordo della musciarra, in piedi nel quadrato della morte, autoritario e calmo di fronte agli elementi e al mare rosso.
20storie_sardegna asinara

I tonni venivano da Porto Torres in direzione del “mare di fuori”, dove si sarebbero riprodotti se un’ottantina di pescatori non avessero innalzato la bandiera di Genova per calare la tonnara: un’isola lunga 300 metri e larga 30, a 3250 metri dalla costa a cui era legata dalla coda.
Davanti agli occhi dell’ultimo rais fatichiamo a ricostruire la presenza di quel borgo stagionale che si animava a marzo per svuotarsi alla fine di giugno.
Ai lati dell’appiccatoio in tufo, presso il quale il tonno restava appeso mezza giornata, e alle spalle delle sedici padelle nelle quali veniva cucinato in salamoia e delle due ciminiere, c’è il Village Le Tonnare. Le strutture appartengono al Comune, che si cura della manutenzione straordinaria affidandone tuttavia la gestione a un villaggio vacanze tenuto al rispetto di stringenti vincoli di tutela.
Agostino sembra fuori posto, ma racconta. «Ho cominciato a pescare nel 1944, a 14 anni. Da mezzo secolo i rais, nell’Ottocento tutti genovesi, erano stintinesi. Però era ancora Genova, la città dei proprietari della famiglia Anfossi, a comprare il nostro pescato».
La tonnara durava dal 10 maggio al 20 giugno. «Il mio primo anno da rais pescammo 220 tonni, il secondo 125, il terzo 50. Poi nulla, per colpa delle petroliere. Il tonno vuole silenzio. Ho parlato con i colleghi di Favignana. Hanno avuto il nostro stesso problema: il rumore. Lì è stato portato dal turismo, qui dal petrolio».
Nel 1965 la tonnara, ormai in crisi, era stata chiusa. Quando la riaprirono, nel 1969, i proprietari proposero di scendere da 77 a 42 tonnarotti. «Parodi, il rais precedente, rifiutò», dice Agostino. «Fu scelto al suo posto un rais carlofortino e pescammo 360 tonni. L’anno successivo i carlofortini scioperarono e non tornarono più; io fui nominato rais e ci ritrovammo in quaranta. La prima tonnara capitò il Primo Maggio: in quattro si rifiutarono di lavorare».
20storie_sardegna campuperdu
Meno solidarietà, mentre la modernità irrompe. Meno sacralità. Nemmeno si pregava più il Padre Nostro che mandasse una buona pesca e San Giorgio che scacciasse i pescecani: i vestini.
«Mio nonno si chiamava come me – ricorda Paolino Parodi – e fu rais nel 1964. Lo era da vent’anni. La versione che diede a me, a proposito del 1969, fu di non aver accettato perché non gli andava giù un’innovazione: la rete in nylon. Direi che fu l’ultimo rais ’in bianco e nero’, prima dei colori di Agostino».
Il rais a colori assicura di non averlo mai fatto. Paolino però – racconta il nipote – era solito recitare una preghiera in genovese. «Quando i tonnarotti avevano formato un circolo, il rais alzava il remo: ’Sia lodato il nome di Gëxú, se questa l’è bónna l’altra sia mëgio’. Il remo veniva quindi abbassato con solennità. ’Sempre sia lodato’. E iniziava la mattanza».
Un nipote del pragmatico Agostino, Antonio, è l’attuale sindaco di Stintino. È un pescatore e ha partecipato alla tonnara del 1996, un ultimo tentativo puramente sperimentale. Antonio Diana si batte per rilanciare un turismo sostenibile che arricchisca culturalmente il villaggio e che lo tenga attivo anche d’inverno. Vorrebbe che il territorio di Stintino rientrasse nel Parco dell’Asinara. Intravede nel tonno e nella declinazione delle storie a esso intrecciate la chiave di un rinnovamento economico e sociale rispettoso del passato.
I pescatori stintinesi, tuttavia, sanno anche che il tonno è ormai nelle mani dei vestini: pescatori da diporto non tenuti a rispettare le quote di 700 kg annui per barca, giapponesi che saccheggiano in acque internazionali, lo scempio della pesca volante in altri lidi italiani, connazionali che inscatolano alalunga al largo delle Seychelles. I tonni stanno tornando, ma sono meno umani.
[Federico Gurgone fotoreportage di Stefano Stranges]

Nessun commento: